Le aziende farmaceutiche hanno assimilato gli stessi metodi utilizzati dalle aziende di consumo per due motivi.
La prima è che le limitazioni legislative, le autolimitazioni imposte dalla casa madre, le litigation passate, le normative sul farmaco hanno di fatto ostacolato un razionale confronto con gli uffici legale, compliance e farmacovigilanza. Questo, che avrebbe potuto essere un valore aggiunto, si è rivelato invece un ostacolo a volte insormontabile (scusate l’autocitazione). Quindi mentre non ci si chiede che cosa dice un REP durante una visita con il medico, gli uffici legali hanno da noi preteso la registrazione del colloquio con il medico da parte dell’isf remoto. Era evidente che non avevano ancora equiparato il phone-Rep a Rep. Questi limiti devono essere conosciuti, tenuti sotto controllo, occorre scegliere solo fornitori di servizio che siano in grado di offrire le più complete garanzie. È necessario che questi limiti diano valore all’offerta, la qualifichino, la “certifichino”, ma non possono essere una scusa per l’inerzia. La totale assenza di regulation nazionale ed internazionale per l’editoria e la pubblicazione dei testi ha totalmente modificato il settore e probabilmente rappresenta una minaccia concreta per la sopravvivenza dell’intero comparto dell’editoria con la relativa raccolta pubblicitaria. È notizia recente che il giornale più antico d’Inghilterra chiude la versione cartacea e si trasforma in online, proprio a causa di una totale deregulation. Facciamo, dunque, tesoro delle regole.
La seconda è che il medico e il paziente sono uomini d’oggi e quindi si comportano – direi laicamente – in relazione ai farmaci così come fanno per gli altri prodotti e servizi. Cercano relazione, cercano qualità, hanno minore fedeltà di marca, hanno un’accresciuta consapevolezza del proprio potere, sono in grado di smentire e smascherare comportamenti scorretti, hanno un potente passaparola. E questi sono solo parte dei profili del consumatore contemporaneo. Fabris metteva in dubbio il termine consumatore, in quanto non consuma quello che acquista, e oggi in molti settori non paga per i servizi che riceve. Il medico si approccia quindi da solo in termini di multichannel, lui stesso è multichannel nello stile con i pazienti e con la professione: consulta internet per 6 ore la settimana, parla con i pazienti via mail, riceve informazione scientifica per telefono o online, partecipa a web meeting, webinar, sondaggi online. E fa questo confrontandosi con un paziente che ha un comportamento analogo, che vede nel medico la second opinon rispetto al medico stesso, che parla discute alla parti con il clinico dopo essersi informato in modo parcellizzato ed incompleto su web. Il paziente è un consumatore evoluto, che pensa che il farmaco sia un bene di consumo, non vuole effetti collaterali, vuole essere informato e condividere le scelte sui social, ritiene di avere più diritti e li conosce. Può danneggiare il professionista e l’azienda non solo in caso di comportamenti scorretti, ma anche quando ritiene che non siano state tutelate le proprie aspettative. Facciamo che il medico e paziente entrino in relazione e abbiano fiducia.
Come sempre ho una notizia buona ed una cattiva.
La buona: ora esistono centinaia di case history che permettono concretamente di maneggiare i nuovi media e la loro correlazione creando un concreto marketing multichannel, con modelli di misurazione certi.
La cattiva: questo è noto e tutte le aziende li stanno applicando, spesso in modo irrisoluto, talvolta con progetti pilota non corretti, ma tutti sono sul campo. Restare in attesa significa mettersi fuori dal gioco e questa è oggi la scelta peggiore.
Per questa volta, vista la pausa estiva un po’ lunga due bonus: google sarà una futura concorrente, linkedin resta la vetrina professionale più diffusa per promuovere il marketing di noi stessi.