Carenza di protocolli e Linee Guida non ben definite sull’accesso e la pratica delle attività motorie nel soggetto con emofilia, differenti punti di vista tra ematologi e medici dello sport sull’importanza dei benefici derivanti dalla regolare attività fisica sono le questioni emerse da una indagine ideata, sul territorio regionale pugliese, da CSL Behring e condotta da Doxapharma con il coordinamento e la supervisione scientifica del Centro Emofilia Pediatrico del Policlinico-Giovanni XXIII di Bari.
E’ stato realizzato un questionario conoscitivo ed è stato distribuito a 21 clinici della Regione Puglia: 6 Ematologi/Pediatri responsabili dei Centri Emofilia e 15 specialisti in Medicina dello Sport, distribuiti nelle provincie del territorio. Un campione a pieno titolo portavoce della realtà pugliese, per quanto riguarda la gestione della persona emofilica in relazione all’esercizio fisico/allo sport. Gli obiettivi della ricerca erano i seguenti: conoscere le modalità e i tempi di accesso alla pratica sportiva dei soggetti con emofilia, far emergere le aspettative o le difficoltà dei medici esperti nel proporre l'attività sportiva, rintracciare e identificare le criticità nei percorsi per l’avviamento alla pratica sportiva organizzata e/o amatoriale.
“Il focus sulla Regione Puglia ha avuto il significato di definire in modo accurato la realtà in esame su un territorio preciso, ponendo le basi per una riflessione più ampia sul tema, estesa al territorio nazionale, interrogando la comunità scientifica di riferimento su quanto la fotografia pugliese rappresenti in modo preciso o approssimato altri contesti in Italia e stimolando i clinici pugliesi ad attivarsi per favorire, in modo coerente e coordinato, l’esercizio di regolare attività fisica dei soggetti con emofilia” spiega Barbara Cervella, senior quantitative researcher di Doxapharma .
I risultati hanno evidenziato che vi sono “barriere” nell’accesso alla pratica sportiva per una carente o inefficace comunicazione, da parte dei medici, sulle possibilità concrete dell'attività sportiva nei soggetti con emofilia e per i timori dei pazienti/caregivers sull’incolumità fisica. “Barriere” che mettono in risalto la necessità di sviluppare, a livello territoriale, consapevolezza attraverso l’informazione capillare. Dall’indagine emerge, inoltre, l’accordo tra tutti i medici che la sana attività fisica fa bene alle “articolazioni” degli emofilici a tal punto che in futuro si possa prevedere una vera e propria “prescrizione” dell’esercizio fisico.
"La nostra attenzione al benessere dei pazienti non si limita alla migliore produzione e distribuzione dei farmaci necessari ma si estende ad una valutazione di tutti gli elementi che possono contribuire al loro benessere e qualità della vita" ha sottolineato Pierluigi Verna, Regional Market Access Area Sud di CSL Behring "Per questo abbiamo sviluppato un progetto a medio termine per migliorare l'accesso del paziente emofilico all'attività sportiva. Conoscere le criticità locali e adoperarsi per trovare soluzioni è stata lo scopo primario del progetto pugliese che può diventare una 'best practice' da replicare in altre regioni italiane".
“I benefici sono ben noti in letteratura e comprendono la stabilità e la funzionalità articolare, riduce il rischio di episodi emorragici acuti e le conseguenti complicanze” ribadisce la Professoressa Paola Giordano, Direttore del Centro Emofilia Pediatrico del Policlinico-Giovanni XXIII di Bari: “Non solo l'esercizio fisico regolare migliora il benessere muscolo scheletrico e la qualità della vita, ma migliora il benessere psicologico, emotivo e permette una vita sociale serena”.
Dalla Survey è emerso come 1 paziente su 3 (93 dei 300 pazienti in carico) chiede all’ematologo/pediatra, durante la visita periodica di check up, consigli per praticare un’attività sportiva e il 16% la pratica effettivamente (circa 48 pazienti). Di questi il 98% praticano sport a livello amatoriale e solo il 2% una attività di tipo agonistico.
Dai dati emerge, inoltre, che se un soggetto con emofilia si rivolge allo specialista in Medicina dello Sport nel 71% lo fa per chiedere “consiglio” e nel 67% per avviarsi alla pratica sportiva. Solo il 20% dei pazienti che si rivolgono allo specialista dello sport giunge a praticare sport agonistico.
Dall'analisi statistica però è emerso che solo tra il 33% e il 43% di quelli che fanno attività sportiva hanno più di 18 anni mentre la maggioranza sono bambini, con una spiccata maggioranza della fascia 7-12 anni (41-42%). "Sembra che con l’incrementare dell'impegno scolastico ci sia un graduale abbandono dello sport e che con l'ingresso nel mondo del lavoro molti rinuncino definitivamente. Eppure l’educazione motoria dovrebbe essere a vita. Rispettando alcune semplici regole (terapia farmacologica personalizzata ed in profilassi, aderenza alla terapia la scelta di sport adeguato alle proprie caratteristiche muscolo-scheletriche) l’attività sportiva nel soggetto con emofilia non deve essere negata bensì consentita" spiega il Dottor Giuseppe Lassandro, Dirigente Medico del Centro Emofilia Pediatrico del Policlinico-Giovanni XXIII di Bari
Tra gli sport consigliati la fa da padrone il nuoto indicato come ideale dal 67% degli ematologi e caldeggiato dal 93% dei medici dello sport. Seguono le discipline dell’atletica leggera, gli sport di racchetta (tennis, badminton, ping-pong) e la scherma. Dall’indagine si sconsigliano gli sport di “contatto” ( pugilato, arti marziali, calcio, pallacanestro, rugby, automobilismo e motociclismo) seppure c’è poca conoscenza di cosa sia uno sport di “contatto” (ad esempio i clinici dell’emofilia consigliano il ciclismo, ritenuto ad alto rischio dai medici dello sport) e comunque ogni attività potrebbe essere condotta se adeguatamente allenati e trattati farmacologicamente .”
Le linee guida per la cura dell’emofilia sono poco note ai medici dello sport (7% del campione) mentre il 50% dei clinici dell’emofilia ritiene di conoscere alcune linee guida su “sport ed emofilia” “Un impegno comune sarà quello di scambiarsi conoscenza” afferma Domenico Accettura Presidente Regionale della Federazione Medico Sportiva Italiana.
Certo la pratica sportiva deve prevedere una attenta valutazione da parte del medico che tenga conto della gravità della malattia e della scelta dello sport. Bisogna scardinare alcune idee infondate come che lo sport possa provocare una riacutizzazione della malattia. Basta praticare una attività lieve o moderata e avere una adeguata preparazione per poter svolgere uno sport bisogna però creare delle sinergie tra ematologo, medico di medicina generale e medico dello sport sotto a protocolli istituzionali condivisi. Esiste infatti anche il timore di eventi emorragici non prevedibili a causa della scarsa conoscenza dell'emofilia da parte dei sanitari.
Ci sono poi barriere culturali: paura da parte del paziente stesso, una famiglia che si oppone, spesso perché manca una comunicazione chiara e corretta, e il mancato rilascio della certificazione di idoneità alla pratica sportiva, che in alcuni casi è percepito come un iter troppo lungo e impegnativo. Per l'attività agonistica inoltre l'80% dei medici invia sempre ad altri specialisti per ulteriori accertamenti (ematologo ma anche cardiologo, ortopedico e fisiatra).