Se fino ad oggi abbiamo messo il medico al centro del nostro processo di comunicazione un motivo c’era. Il medico è un professionista che “promuove-prescrive” i nostri prodotti alias farmaci sulla base di specifiche cliniche e terapeutiche del “suo” paziente-cliente sulla base delle informazioni medico-scientifiche che noi gli proponiamo: non saprei scriverlo più sinteticamente. Ci ascolta (per cortesia) perché gli portiamo “soluzioni terapeutiche” ai “problemi dei suoi pazienti-clienti”.
Se, e non è scontato, siete d’accordo con quanto affermato in precedenza, possiamo dire che lo scambio avviene tra azienda e medico attraverso l’informatore che aggiorna il clinico in un percorso virtuoso per entrambi. Il medico è invitato ad aggiornamenti attraverso corsi ed eventi, ha un rapporto costante e consolidato con l’informatore farmaceutico di zona, nutre fiducia nelle comunicazioni scientifiche basate su studi clinici che gli vengono presentate, verifica attraverso la propria pratica clinica i risultati e, a seguito del proprio convincimento professionale, inizia a prescrivere, prosegue a farlo o smette.
Tutte queste premesse hanno lo scopo di predisporvi all’ascolto di un passaggio di paradigma tra “medico al centro” a “paziente al centro”. Traduzione: ora al centro del mirino c’è il paziente? Beeep, sbagliato. Come mi faceva notare poco tempo fa una collega, vi è una differenza sottile ma fondamentale tra customer centricity e customer centric.
In inglese la differenza è che centricity è un sostantivo che potremmo tradurre con centricità, l’essere al centro. Centric è un aggettivo e potremmo tradurre, credo, con centrico. A parte le nuances linguistiche, queste esprimono diverse visioni del marketing farmaceutico.
Una mette il paziente al centro, è lui il nuovo obiettivo del messaggio. Tutte le azioni “muscolari” che abbiamo adottato in passato per spingere messaggi, ora sono indirizzate ai pazienti. Li raggiungiamo ovunque, mentre fanno altro, con il messaggio che vogliamo che ricevano, con comunicazioni che abbiamo deciso che vanno bene per lui. Paternalisticamente o commercialmente, la nostra visione in questo caso definisco (dopo anche approfondite valutazioni) quale è il messaggio che funziona meglio per vendere e poi lo sparo ovunque sia possibile, anche su Spotify. Con le stesse modalità di pressione-copertura-frequenza misurabili in GRP che useremmo per i tampax o per gli yogurt, irrispettosi delle specificità e delle responsabilità che nascono dall’operare nel farmaceutico.
L’altra invece mette il paziente in cima: dei nostri processi di ricerca, dei servizi per supportarlo e con lui i caregiver, per migliorare l’aderenza ed adeguare i percorsi assistenziali. E costruire nuove competenze nel paziente per migliorarne la propria capacità di gestire in autonomia il trattamento (non solo farmacologico) della patologia, per avere infine una aspettativa di vita più lunga e una migliore qualità della vita. Da questa prospettiva, i progetti di patient advocacy assumono una diversa fisionomia. Patient advocacy è un termine inglese che viene adoperato comunemente per indicare progetti che coinvolgono il paziente per l’identificazione dei bisogni partendo da una relazione continuativa con loro e non da analisi di mercato o sondaggi; sviluppo delle competenze affinché questi sia più autonomo e consapevole nelle scelte e nella comprensione del processo terapeutico; coinvolgimento del paziente in modo attivo alla valutazione autonoma e consapevole del proprio percorso di cura. A volte una semplificazione nel percorso terapeutico, una piattaforma che riduce le distanze possono essere un vero aiuto per un paziente. Altre volte progetti più articolati in cui il paziente viene messo in condizioni di parlare con esperti e con propri pari che stanno vivendo la stessa patologia hanno avuto ottimi risultati.
A volte i patient advocacy possono anche contenere la formazione dei caregiver alla assistenza o all’uso di particolari dispositivi o nuove tecnologie, o al supporto alla terapia domiciliare. Molto spesso sono basati su un concetto di sviluppo e crescita di competenze sia del paziente che di coloro che sono vicini, per cure domiciliari o “il prima ed il dopo” il ricovero. Altre volte sono creazioni di comunità di persone che hanno gli stessi bisogni, a fianco delle associazioni dei pazienti.
Se desideri confrontarti con me sono a tua disposizione per un meeting privato.