Donne e COVID: condizioni di lavoro e stato di salute
Indagine commissionata da Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, all’Istituto di ricerca Elma Research in collaborazione con Didael KTS, circa l’impatto della pandemia sulle condizioni di lavoro della donna: il 60 per cento delle intervistate ha sperimentato una prolungata riorganizzazione strutturale della propria attività lavorativa e il 5 per cento il lavoro lo ha perso.
L’impatto del Covid-19 sulla salute e sull’utilizzo della tecnologia sono ulteriori aspetti analizzati: il 76 per cento delle intervistate ha trascurato la propria salute e l’85 per cento ha sofferto di almeno un disturbo psichico per un periodo prolungato; guardando il lato positivo, il 50 per cento ha imparato l’uso di nuove tecnologie e strumenti di lavoro.
Sei donne su 10, a causa dell’emergenza sanitaria, hanno subito una riorganizzazione strutturale prolungata della propria attività lavorativa. Il Covid-19 ha impattato sul mondo del lavoro femminile in termini di smart working (32 per cento), riduzione orario lavorativo (19 per cento), cassa integrazione (16 per cento), sospensione dell’attività (14 per cento) e passaggio al part-time (10 per cento). Seppure solo il 5 per cento delle donne intervistate è rimasto senza lavoro, sono le più giovani e che vivono al Sud Italia ad essere state maggiormente colpite insieme a coloro che non erano tutelate da un contratto di lavoro a tempo indeterminato: donne attive nei settori di turismo, ristorazione e sport. Circa il 40 per cento delle intervistate riferisce di aver subito difficoltà economiche importanti, tra cui le lavoratrici contrattualmente meno tutelate, le donne che hanno perso/cambiato lavoro e quelle che hanno avuto riduzioni/sospensioni delle attività lavorative. Sono proprio queste lavoratrici che hanno percepito un impatto negativo sulla vita professionale, tant’è che circa il 30 per cento ritiene che la propria condizione lavorativa sia decisamente peggiorata.
A indagare sull’impatto dell’emergenza Covid-19 sulla vita lavorativa, sulla salute fisica e psichica e sull’utilizzo della tecnologia nella popolazione femminile è Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, in collaborazione con Didael KTS attraverso un’indagine condotta dall’Istituto di ricerca Elma Research svolta su un campione di 609 donne con un’età media di 39 anni, distribuito equamente su tutto il territorio nazionale. “Le donne sono le prime vittime della pandemia, indipendentemente se malate o meno”, sostiene Francesca Merzagora, Presidente di Fondazione Onda. “L’impatto sulla salute fisica e psichica del Covid-19 è stato pesante come confermato dall’indagine che abbiamo svolto su Donne, Covid e Lavoro. Nel nostro campione il 76 per cento delle donne ha trascurato la propria salute rinunciando a screening preventivi e a visite di controllo, l’85 per cento ha sofferto di almeno un disturbo psichico prolungato dopo l’emergenza, il 39 per cento ha avuto difficoltà economiche e il 33 per cento delle donne intervistate ritiene che a seguito dell’emergenza sanitaria la propria condizione lavorativa sia decisamente peggiorata. Per non parlare delle violenze domestiche che sono drammaticamente aumentate in Italia”.
Altro aspetto analizzato dalla survey è, infatti, l’impatto sulla salute delle donne: 7 su 10 delle intervistate hanno trascurato la propria salute fisica, dato che raggiunge l’86 per cento se si considerano le donne con patologie croniche. Disturbi del sonno, tristezza e pianto, pensieri negativi, bassa autostima e apatia, sono alcuni dei sintomi che hanno accompagnato le donne durante il periodo di emergenza sanitaria, soprattutto coloro che hanno sofferto di difficoltà economiche importanti, tanto che quasi 9 su 10 hanno sofferto di almeno un disturbo psichico per un periodo prolungato.
“Numerosi studi condotti sulla popolazione italiana durante la pandemia hanno mostrato un notevole aumento dei disturbi affettivi comuni, in particolare della sintomatologia depressiva e ansiosa”, aggiunge Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia. “Secondo alcune recenti indagini conoscitive, lo smartworking provoca nel 48 per cento dei casi l’aumento di 1 ora di lavoro al giorno, nel 35 per cento dei casi un’ansia da timore di perdita del lavoro in alcuni settori professionali maggiormente colpiti dalla pandemia. Le conseguenze psichiche sono pesanti, si parla di ‘workalcohol’, ‘technostress’, sindrome da ‘pigiama’. Le donne sono più esposte e cronicamente sotto pressione a causa dell’incremento del multitasking”.
Infine, un aspetto positivo: dall’indagine è emerso che l’emergenza sanitaria ha insegnato un nuovo modo di lavorare e che la tecnologia si è rivelata un’ottima alleata nella gestione della propria salute: il 50 per cento ha riferito di aver imparato ad usare nuove tecnologie e strumenti di lavoro e il 100 per cento delle donne ha utilizzato almeno un App o servizio a supporto della salute come per prenotazione e ritiro di esiti di esami. Il contributo offerto dalla tecnologia, inoltre, è stato valorizzato dalle lavoratici sia dal punto di vista professionale - il 73 per cento delle donne ritiene che si sia rivelata fondamentale per poter continuare a lavorare efficacemente in modalità smart working, sia da quello relazionale - il 69 per cento ritiene che abbia permesso di mantenere relazioni soddisfacenti, sia da quello formativo – il 61 per cento delle donne afferma di credere molto nella tecnologia per dare continuità all’istruzione di bambini e ragazzi.
“Mai come nell’ultimo anno la tecnologia, spinta dai cambiamenti quotidiani innestati dalla pandemia, ha ‘ridefinito’ in modo nuovo lo spazio fisico nel quale siamo immersi, ma anche quello geografico, sociale e cognitivo”, commenta Gianna Martinengo, Fondatrice e Presidente Didael KTS - Ideatrice Women&Technologies. “Questo cambiamento ci interpella e ci chiede di essere studiato approfonditamente, specie in riferimento alle donne italiane. Una doppia fatica le sta infatti attanagliando, da quando è sopraggiunto il Covid-19: all’abituale carico famigliare si è aggiunta in moltissimi casi la perdita del lavoro, specie in riferimento a chi opera nel settore dei servizi alla persona, del turismo, del facility management. Non possiamo non farci carico di questa difficoltà che sono lo specchio di un Paese non ancora in grado di valorizzare il ruolo femminile”.
“Mi sembra che la ricerca sia riuscita perfettamente a ‘certificare’ quello che sentiamo commentare da più parti, ovvero questa spaccatura tra ‘un’Italia con la pancia piena ed una con la pancia vuota’ per rubare le parole di Fabio Tamburini, direttore del Sole24Ore”, afferma Elena Ripamonti, Founder and CEO, Elma Research. “Mi sembra che il blocco dei licenziamenti abbia permesso una tenuta d’insieme, solo il 5 per cento delle donne intervistate ha perso il lavoro in questo periodo, ma ciò non toglie che la pandemia abbia inciso profondamente sul mondo del lavoro, con effetti drammatici per alcuni settori e di grande impulso per altri. Sono doverose le considerazioni sugli effetti disastrosi che le chiusure prolungate hanno avuto sulla vita di donne e uomini che ne sono stati colpiti e che la nostra ricerca mostra colpiti non solo da un punto di vista economico, ma anche nella salute psichica che andrà ricostruita tanto quanto le loro attività. Tuttavia, è bello mostrare anche gli effetti ‘evolutivi’ che la crisi pandemica ha innescato: è interessante notare come 2 lavoratrici su 3 che lavorano nel mondo della sanità e dell’istruzione ritengano di aver imparato un nuovo modo di lavorare da cui imparare per il futuro”.
“Nella valutazione dei pazienti dimessi dopo Covid - 19, il nostro ospedale ha messo in luce differenze di genere che sono opposte rispetto a quelle emerse nei pazienti ricoverati con malattia acuta”, conclude l’ingegner Elena Bottinelli, Amministratore Delegato dell’IRCCS Ospedale San Raffaele che ha ricoverato dall’inizio della pandemia circa 2900 persone con Covid – 19. “Le donne, infatti, nonostante avessero sviluppato un’infezione di minore gravità hanno sofferto più complicanze, soprattutto ansia e depressione, anche a distanza di mesi dalla dimissione. Oggi però, grazie al fatto che iniziamo a comprendere i meccanismi alla base di questi disturbi, le terapie a disposizione – psicologiche e farmacologiche – possono essere scelte in modo accurato e personalizzato, e risultano quindi efficaci. Ci aiuta anche la telemedicina che porta l’ospedale a casa dei pazienti e permette una relazione più efficace e duratura coi curanti”.