Proseguo il mio viaggio sui mega-trends del futuro del marketing farmaceutico e spero che i miei lettori ne possano trovare spunti di riflessione e, volendo, di discussione con me.
Che dopo la pandemia di Sars-Cov2 i nostri atteggiamenti d’acquisto, il nostro modo di vivere e lavorare non saranno più quelli di prima è stato detto? Che ci sarà un “new normal” è stato detto? Che ci saranno diversi scenari, quello A, quello B e quello C (ma nessuno chiarisce quale è più probabile) è stato detto? Ecco dopo tanto rumore sulla malattia, i vaccini e lo smart-working credo che sia venuto il momento di trarne delle conclusioni. E fare previsioni, concrete, che resistano a guerre e pandemie.
La tendenza: “dal dominio alla collaborazione” credo sia una di quelle da prendere in considerazione, proprio in termini di impatto sulla cultura d’impresa e di conseguenza sul marketing.
Leggevo da un vecchio volume di Piantoni, un grande del marketing italiano, questa frase: “la business idea va intesa come dominanza del territorio, basata sulla coerenza dinamica e instabile tra un sistema di prodotto, un mercato e una struttura”. Questa definizione di base, ripresa dai consulenti coevi, prevedeva che la business idea fosse rivolta al dominio, attraverso vantaggi competitivi all’interno di un mercato rispetto alle componenti: prodotto, mercato, risorse interne.
Inizierei da qui in questo grande viaggio nel rimodellare l’impresa per adattarla al futuro. Quanto c’è di giusto e quanto c’è di sbagliato in queste affermazioni; oggi, cosa è cambiato da quanto è stata fatta questa affermazione e quanto è rimasto di vero.
La dominanza è stata l’attenzione strategica di tutte le imprese. Una conferma di tale assunto si rispecchia nel modo in cui è stato coniato il linguaggio del management. Vincere, aggredire, affrontare il mercato; oppure guidare o governare il mercato (quanti leader del mercato abbiamo...), o controllarlo; anche comandare o avere il monopolio nel segmento; vincere o battere la concorrenza; lanciare o imporre il prodotto. Una visione della strategia virile, del padrone sul popolo, con i sottomessi che subivano l’azione potente e muscolare del vincitore. La dominanza è stata – e per molti lo è ancora – l’obiettivo primario dell’impresa. E abbiamo parametri che lo misurano: dalla quota di mercato allo share of voice, che ci aiutano a tenere la barra al centro nella realizzazione di obiettivi di dominio.
Dominare un mercato significa anche essere il padrone delle regole, poterle modificare ed adattare, generare profitto cedendo beni e servizi ai consumatori in un quadro di norme favorevole a questo obiettivo. Ancora, il dominio è imposizione in un ambito relativo e focalizzato di un processo che dalla produzione di un prodotto, grazie alle risorse interne, porta questo sul mercato. Il mercato è visto come un unicum su cui agire. Mercato che, nel caso specifico del settore farmaceutico, è definito dalla molecola o combinazione oppure dalla patologia o dall’area terapeutica. È questa la visione della dominanza del mercato a cui Normann faceva riferimento. Ed è vecchia e superata.
Ma c’è, sottile e poco evidente a chi legge con fugacità, un riferimento netto a “basata sulla coerenza dinamica e instabile di un sistema”, che invece ha colto la mia attenzione e su cui ho concentrato alcune ricerche. E, scusatemi se per voi sono elementi già noti, ma a me è sorto il bisogno di approfondire e scoprire quanto fosse rivoluzionario negli anni Duemila e quanto lo è ancora il concetto di "coerenza dinamica e instabile" e l'apprendimento in azienda. Apprendimento destinato a mutare le strutture organizzative, e che è indispensabile nell’innovazione e quindi ai processi di adattamento a questa instabile coerenza dinamica,
Non è più dalla dominanza che si genera profitto, ma dalla collaborazione. Puoi dominare un mercato, puoi costruire le tue barriere, puoi riempire gli scaffali, fare dumping, ma se il cliente non ti percepisce vicino finirà, nel tempo, per prediligere una nuova compagnia – anche piccola – ma che abbia recepito l’evoluzione del bisogno.
Basta un blogger per distruggere una marca. Allora cosa fare? Pagare altri blogger per aumentare il rumore, come ho visto fare in una multinazionale? O è forse meglio, ascoltare e ridisegnare l’intero marketing e fare pace con i consumatori? Anche nel farmaceutico dobbiamo entrare nel business del cliente: scoprire ed ascoltare e lasciarci sorprendere dai suoi desideri, prevenire i suoi bisogni, è oggi la vera cultura d’impresa. Vicina al cliente, con il cliente al centro.
In un recente webinar ho avuto modo di ascoltare e confrontarmi con attori delle aziende farmaceutiche e delle associazioni dei pazienti e constatare quanto oggi già si stia facendo (o discutendo) per portare in azienda una visione o meglio una cultura dell’ascolto e della vicinanza al paziente. Quando si legge di paziente al centro non è per porlo come bersaglio, ma come punto di relazione massima tra tutti gli stakeholder del processo di comunicazione attiva e passiva. Nel futuro, il marketing farmaceutico è questo che ho ascoltato: un marketing fatto di relazioni, di fiducia, ascolto reciproco, presa in carico dei bisogni, confronto di posizioni e responsabilità diverse tra tutti gli attori del processo di informazione-promozione e comunicazione farmaceutico.
In un mondo in cui tutti parlano, non è possibile immaginare una comunicazione monodirezionale dall’industria al medico attraverso l’informatore durante una visita in studio, e poi al paziente attraverso il medico. È cambiato troppo, è cambiato tutto, ed è di tale evidenza che non mi sognerei di approfondirlo. La reazione a questo cambiamento è l’ascolto e la relazione multicanale.
L’ascolto, in quanto il marketing farmaceutico è sempre partito da bisogni terapeutici e sta passando ai bisogni delle persone malate, dei loro cari e dei caregiver.
La relazione in quanto tutti gli attori: i clinici, i medici specialisti, i medici di base, le strutture ospedaliere, le farmacie, le strutture pubbliche di governo, le strutture sanitarie ospedaliere pubbliche e private, le società scientifiche, le associazioni di pazienti ed infine i pazienti sono un “mercato” dinamico da mettere in relazione con l’industria. Un mercato tra virgolette, in quanto fatto da ogni singola persona che vi partecipa. E dinamico, in senso lato, in quanto formato da più relazioni, connessioni e forze e quindi per definizione instabile. Un siffatto contesto non può, quindi, essere governato o peggio comandato (attenzione a chi si crede “leader di mercato”), ma può (io oserei dire deve) essere flessibilmente e dinamicamente seguito e anticipato e, soprattutto, ascoltato.
Il processo formativo interno per gli informatori da puro frontale a ibrido, che durante il confinamento e il rallentamento dovuto al Covid-19 ha spesso preso il via, è un corretto buon inizio.
Permettetemi però di fare un caveat, i corsi devo essere utili, e soprattutto tenuti da chi quella materia la conosce bene, la pratica. Andreste a lezioni di piffero da chi il piffero non lo ha mai suonato? E allora sulla trasformazione dei vostri informatori in ibridi, rivolgetevi a chi questo lavoro lo fa, ogni giorno, da anni. I corsi fatti male sono dannosi: danno l’impressione che la materia sia sfuggente e fumosa, e confermano i dubbi che avevamo sull’argomento prima di iniziare.
Se desideri confrontarti con me sono a tua disposizione per un meeting privato.
Potrebbero interessarti
Questi articoli correlati